Perde le gambe, le riattaccano
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29 Ottobre 2016Miracolo al Cto: “Mi hanno salvato la vita e il benessere”
DI MIRACOLO è improprio parlare, ma la guarigione di una donna che due anni fa aveva subito il reimpianto del braccio sinistro perso in un incidente, non un successo frequente, nemmeno in una struttura come il Cto. Ieri il caso di Cecilia (il nome è di fantasia) è stato portato di fronte agli studenti del corso di diagnosi e trattamento “Il polso e la mano traumatici”, che la struttura complessa di chirurgia della mano (diretta da Italo Pontini) tiene fino a oggi all’ospedale di via Zuretti. «È stato l’intervento più complesso che il nostro gruppo ha affrontato negli ultimi anni, su 67 eseguiti dal 1998», ha spiegato Arman Sard, responsabile della Chirurgia d’urgenza dell’arto superiore, che ha seguito tutto il decorso del trauma della donna, a partire dal giorno dell’incidente.
A due anni di distanza dall’incidente, Cecilia è considerata guarita, conduce una vita pressoché normale e riesce addirittura a guidare l’auto. Ma si è conquistata questo traguardo con grande fatica e ancora adesso fa fisioterapia per migliorare i movimenti della mano. «Si fanno sforzi incredibili per muovere un dito di un millimetro in più — spiega la donna — È la testa che aiuta, in questi casi: ci vuole una grande caparbietà, ma dall’altra parte non ci si deve fare illusioni».
Nel giugno 2010 Cecilia, oggi quarantenne, era in motocicletta col marito quando sulla statale del Sestriere è avvenuto l’incidente. Lui non si è fatto quasi nulla, lei invece ha sbattuto contro il guard-rail, che ha avuto l’effetto di una ghigliottina sulla spalla, staccata di netto dal resto del corpo. L’elicottero del 118 l’ha portata
al Cto: «In quel momento la mia vita era in pericolo — racconta — ero quasi dissanguata, avevo avuto due ischemie cerebrali e un arresto cardiaco, ma mentre dei medici cercavano di farmi vivere, altri si preoccupavano anche di farmi vivere bene.
Avevano raccolto il braccio che era finito nel prato e cercavano di riattaccarlo. Lo ripeto spesso, quando si parla di sanità in modo negativo, perché io ho avuto un’esperienza molto positiva». Lo staff di Pontini e Sard tenta il tutto per tutto in un intervento durato otto ore. «C’era la possibilità che il braccio dovesse poi comunque essere amputato, ma almeno speravano di attaccare la spalla per aggiungere una protesi, mentre nelle condizioni in cui ero non si poteva fare nemmeno quello», continua la paziente. Invece
le cose vanno per il meglio. La felicità per avere il proprio braccio nuovamente attaccato al corpo è stata un regalo da conquistare con fatica: «All’inizio avevo il mio braccio, ma era morto. Solo col tempo e la rieducazione sono riuscita a tornare quasi normale. E ancora adesso non è finita».
Fonte:
Federica Cravero
LA REPUBBLICA 4 Dicembre 2012